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Mi chiamo Tiziano, sono di Roma. Disegno quando non dormo, quando torno da un turno, da un film, da un sex party, da una chat lasciata in sospeso. A volte mi sento vuoto, altre troppo pieno. Disegnare è il modo che ho trovato per far uscire la pressione — senza filtri né pose. Metto musica, apro Grindr, scrollo Instagram, ma le mani vanno da sole. Preparo i colori, scelgo le tavole. Toccare il legno mi ancora. Stare dentro un gesto è già una forma di equilibrio. Mi prendo il cazzo in mano — non per masturbarmi, ma per esserci. È presenza. Poi inizio. Uso acrilici, colle, oli profumati, evidenziatori rotti, carte regalo. Li stendo, li spalmo, li stratifico. Collage viscerali su legno recuperato. Strappi, macchie, superfici che non cercano bellezza ma qualcosa che resta. Il disordine non mi spaventa. Ci vivo dentro. Ma non lo subisco. Disegnare, per me, non è fuga: è ritorno. Le opere sono nate tra il 2016 e il 2018. Anni ruvidi, notti sveglie, corpi in transito, gesti che servivano a tenermi in piedi. Le ho vissute più che pensate. Ora le rivedo con altri occhi, ma non le correggo. Venezia chiama, e io ci arrivo da Roma, dalla giungla urbana. Non in una sala bianca, ma a Sant’Erasmo. Un’isola che spiazza, ma vibra allo stesso ritmo. Qui, tra orti e cucina, l’arte si fa materia, sapore, sostanza. JUNK WOOD è questo: legno scartato che diventa superficie viva. Un collage sporco, come un piatto cucinato con quello che c’è. Ogni strato è un impasto: istinto, corpo, desiderio. Non scappo. Resto.
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